Museo Regionale dell'Emigrazione dei Piemontesi nel Mondo

Incontro sulla Carta di Chivasso

Per il Museo Regionale dell'Emigrazione, il 2019 si chiude con una nuova sfida: un momento di incontro e riflessione sulla Carta di Chivasso, un documento di grande rilevanza politica e sociale siglato prima della fine della Seconda Guerra Mondiale. Per il Museo di Frossasco è l'occasione per presentare le proprie attività al nuovo Consiglio della Regione Piemonte e infatti l'evento è organizzato a Torino. L'appuntamento, aperto a tutta la cittadinanza, è fissato giovedì 5 dicembre alle ore 17,00 presso la Sala Viglione, in via Alfieri 15.

Di cosa si parla? Il 19 dicembre del 1943, in un alloggio di Chivasso situato nell'attuale Piazza d'Armi, si tenne un convegno clandestino tra un gruppo di rappresentanti delle popolazioni alpine, aderenti alla Resistenza Valdostana alcuni, provenienti dalle valli valdesi e vicini al movimento Giustizia e Libertà altri. Esito conclusivo dell'incontro, il documento meglio noto come "Carta di Chivasso", appunto, nel quale si auspicava una particolare organizzazione politica per l'Italia futura, rispettosa delle minoranze e delle tipicità dei territori.

A redigerlo, il notaio Émile Chanoux e l'avvocato Ernest Page dalla Valle d'Aosta, Osvaldo Coïsson e Gustavo Malan venuti da Torre Pellice, Giorgio Peyronel e Mario Alberto Rollier rispettivamente dell'Università e del Politecnico di Milano. Chivasso fu scelta non tanto, non solo, perchè a metà strada tra i due territori alpini, ma soprattutto perchè in loco risiedevano alcuni membri della famiglia Peyronel, disposti dunque ad ospitare la pericolosa riunione.

La Carta di Chivasso è uno dei documenti più significati del periodo della Resistenza perchè, partendo da una durissima critica alle conseguenze politiche, culturali ed economiche che il regime dittatoriale fascista ha avuto sulle vallate alpine, postulava la realizzazione di un sistema politico federale e repubblicano. Le forti istanze autonomiste, incentrate su un federalismo a base cantonale o regionale, sottolineavano la rilevanza delle minoranze linguistiche e religiose. L'autonomia nel campo economico e sociale che veniva rivendicata era intesa come lo strumento col quale eliminare gli irredentismi e garantire un futuro di pace all'Europa.

La stessa parola "federalismo" era alquanto inusuale nel 1943. Per i firmatari della Carta di Chivasso, il termine indicava una formazione politica nuova, da applicare anche a livello sovranazionale europeo, al fine di garantire la nascita e la diffusione di sistemi democratici. In questo la Carta si agganciava al pensiero politico risorgimentale di Carlo Cattaneo. Quest'ultimo, nella seconda metà dell'Ottocento, sottolineava come un sistema autonomista e federalista avrebbe potuto bilanciare gli squilibri tra aree maggiormente sviluppate e zone di arretratezza economica.

A riflettere sulla Carta di Chivasso, che può a buon diritto essere considerata come il primo passo nella costruzione delle Regioni, sono stati invitati quattro relatori di grande rilevanza. I protagonisti della conferenza di giovedì 5 dicembre sono quindi Valter Giuliano, giornalista professionista ed ex Consigliere regionale; Filippo Maria Giordano, docente presso il Dipartimento Culture, Politica e Società dell'Università degli Studi di Torino; Matteo Rivoira, docente presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi di Torino; Albina Malerba, Direttore del Centro Studi Piemontesi. Insieme affronteranno il tema dal punto di vista linguistico, culturale, concentrandosi sulle eredità politiche del documento anche a livello internazionale.

Il Museo Regionale dell'Emigrazione ha inteso riflettere sulla Carta di Chivasso perchè ben testimonia il possibile incontro tra lingue e culture differenti, il dialogo sul quale costruire forme politiche rispettose delle differenze e delle peculiarità dei territori. In quest'ottica, nel pensiero dei firmatari del documento, il federalismo e l'autonomia non sono da intendersi nei termini della partizione territoriale esclusivista, ma come confronto e scambio continuo con il quale costruire forme politiche nuove di pace e democrazia.